GENOVA. “Esprimiamo la nostra vicinanza a quelle persone che oggi hanno perso dei cari nel crollo di ponte Morandi. Abbiamo lanciato un hashtag #tragedieannunciate tramite cui gli utenti possono inviarci segnalazioni riguardanti i punti più pericolosi delle strade italiane e noi provvederemo a dare loro voce”.
E’ un Alberto Pallotti triste ed arrabbiato quello che, in una nota stampa, si mostra a sostegno dei familiari trafitti dal dolore per il crollo avvenuto sulla A10, a Genova (altezza torrente Polcevera). Un dramma che, alle ore 17:00 di martedì 14 agosto, fa contare oltre 30 morti, 13 feriti e il pericolo di nuovi crolli. “Bisogna porre la giusta attenzione sulla sicurezza delle strade italiane – dice il presidente dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada (A.I.F.V.S.) -. Non è possibile che un’arteria autostradale come quella crollata stamattina non sia sottoposta a costanti controlli. La manutenzione è importante, specie se si parla di una struttura costruita a inizio anni sessanta. Capisco che il traffico è un problema, ma mi chiedo come l’essere umano abbia potuto realizzare simili mostruosità sperando si superare l’ostacolo. Milioni di tonnellate di cemento sopra i condomini, sopra le case, con milioni di macchine e camion che transitano tutti gli anni. Io stesso percorsi il tratto stradale tempo fa e mi venne l’angoscia. Chi è stato a Genova non può non rendersi conto che l’essere umano non ha il diritto di distruggere con il cemento il mondo. Questo ponte, costruito sopra le città, toglie luce alle case, l’inquinamento cade dall’alto e si manifesta anche acusticamente. E’ uno scempio legalizzato. In Italia urge finire la Tav e la gente muore sulle strade – afferma -. In Italia si parla di accoglienza agli immigrati, ma, intanto, tantissimi bambini restano un padre ed una madre perché le strade non sono sicure e sembra che nessuno abbia il dovere di intervenire. Quello che i genovesi definivano il ‘ponte di Brooklyn’ è scomparso nel silenzio di chi doveva fare qualcosa prima, di chi doveva utilizzare i fondi per migliorare un servizio di tutta la comunità, di ognuno di noi, perché qualsiasi persona di questo mondo poteva transitare su quel ponte nel momento della tragedia. D’altronde – continua Pallotti -, i dubbi strutturali su Ponte Morandi sono nati negli anni stessi della costruzione dello stesso, come ha confermato il docente di Costruzioni in cemento armato presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova, Antonio Brencich. Nella prima fase degli anni ’80, i conduttori delle vetture erano costretti a fastidiosi alti e bassi che, con gli anni, grazie ad un lavoro di livelletta, sono stati attutiti conferendo al manto stradale una condizione di semi-orizzontalità. Il professore, in diverse interviste, definì ponte Morandi un fallimento, un ponte sbagliato, necessitante, prima o poi, di essere sostituito. Una previsione che oggi ci lascia decisamente sconcertati e che ci fa pensare a come, in Italia, la sicurezza, specie sulle strada, non ricopra le posizioni di rilevanza consone”. Il 28 aprile del 2016 era stato il senatore Maurizio Rossi, con un’interrogazione a risposta scritta posta all’attenzione del ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ad accendere i riflettori sul ponte genovese: “Recentemente è stato oggetto di un preoccupante cedimento dei giunti che hanno reso necessaria un’opera straordinaria di manutenzione senza la quale e concreto il rischio di una sua chiusura”. Nel documento veniva posta l’attenzione sul fatto che “Ponte Morandi, viste le attuali condizioni di criticità, potrebbe venir chiuso, almeno al traffico pesante, entro pochi anni gettando la città nel totale caos”. “Ci ritroviamo a contare nuove morti innocenti, dopo quelle di Bologna. Una tragedia annunciata, avvenuta nel giorno peggiore possibile, il giorno dell’esodo estivo. Chiediamo a questo Governo di avere la forza di prevenire – conclude Pallotti -, di indurre i comuni che ottengono finanziamenti ad investirli nella sicurezza stradale, di avere il coraggio di salvare vite umane”.