Intervista ad Alberto Pallotti da parte di Gianpaolo Ferrari

Lunga e diritta correva la strada…

Quante volte ci siamo riconosciuti nel testo di una canzone, rivivendo le stesse emozioni, le stesse dinamiche, le situazioni, le parole pronunciate come in uno specchio riflesso. La musica con la sua alchimia sa regalarci anche questo, e molto spesso ci soffermiamo a riflettere sul testo appena ascoltato…

La strada è un argomento che ricorre spesso nelle canzoni, e qui la possiamo trovare descritta, condita di molteplici sfumature, e densa di significati. La troviamo gonfia di speranza, proiettata nel futuro, oppure triste nel segno di un addio, o felice per un inaspettato ritorno, e purtroppo… tragica, come nella conosciuta “Canzone per un’amica”, nota come “In morte di S.F.” di Francesco Guccini, scritta e pubblicata nell’ormai lontano 1967, all’interno del suo primo album, “Folk Beat n.1”, e successivamente dai Nomadi di Augusto Daolio, nell’album omonimo. La canzone è dedicata a Silvana Fontana, una carissima amica del buon Francesco, morta in un tragico incidente stradale.

Il sinistro che fu all’origine della canzone avvenne alle ore 15 del 2 agosto 1966, sull’autostrada del Sole. A circa 10 km dal casello di Reggio Emilia, la Rover 2000 su cui viaggiava Silvana Fontana con il fidanzato, improvvisamente invase la corsia opposta, valicando l’aiuola spartitraffico, scontrandosi frontalmente con la fiat 500 di due signori bolognesi, che morirono sul colpo, mentre Silvana spirò tre ore dopo, nel nosocomio del vicino capoluogo provinciale. L’unico a salvarsi fu il fidanzato. Nel testo della canzone, Silvana viene descritta come una ragazza allegra che affronta un viaggio in autostrada col suo fidanzato accanto, in una giornata tipicamente estiva. Viene messo in evidenza il dramma di come una bella giornata possa tramutarsi in una tragica storia di morte. Guccini si domanda cosa abbia provato Silvana nel momento fatale dell’incidente che segue immediatamente la fine della sua vita. Non volendo soffermarsi troppo sulla disgrazia, lancia un grido di speranza, cioè sperare che la dolce amica possa, magari da lassù, ascoltare ancora le sue canzoni e sorridere …
La storia racconta che il titolo originale della canzone era: “In Morte di S.F.“, ma venne censurato pesantemente, infatti l’ANAS per evitare una cattiva pubblicità in tema di sicurezza stradale  fece enormi pressioni per cambiarlo, e così il titolo definivo divenne
Canzone per un’amica”.
Cari amici, tenete a mente questo interessante dettaglio, cioè l’Anas (Azienda Nazionale Autonoma delle Strade), società per azioni fondata nel 1948, avente per unico socio il Ministero dell’Economia e delle Finanze che gestisce la rete stradale e autostradale, sotto la vigilanza tecnica e operativa del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, esercita forti pressioni per censurare una canzone. Forse non esistevano ancora le barriere protettive che ci sono adesso, certo è che un aiuola non può ritenersi sicura allo scopo di dividere un percorso autostradale. Ci saranno state allora delle chiare responsabilità da parte di qualche ente? Non potremo mai saperlo, il fatto certo è che la povera Silvana e i due signori bolognesi persero la vita in quel tragico giorno di agosto del 1966, una delle tante storie che riguardano le vittime della strada.
Siamo arrivati al 2016, nel frattempo le automobili sono aumentate, ricche di tecnologia e dotazioni particolari e sofisticati dispositivi inerenti alla sicurezza stradale. Nonostante questo, il numero di incidenti sulle nostre strade è un problema, come la stessa sicurezza stradale. Oltre 180mila gli incidenti stradali con lesioni a persone, quattromila i morti, quasi 260mila i feriti. Le chiamano “vittime della Strada”, in realtà sono le vittime dei delinquenti della strada: di chi corre troppo, di chi si mette alla guida ubriaco o sotto l’effetto di droghe, o di chi si distrae mentre si trova intento a messaggiare o a navigare con l’inseparabile smartphone.
Ho voluto presentare questo articolo con questa prefazione, parlando dei vari risvolti di una strada, perché tutti noi, cari amici lettori siamo protagonisti della strada, ci rechiamo al lavoro, portiamo i figli a scuola oppure ci rechiamo ad un concerto… Quanti di noi hanno perso amici, conoscenti o addirittura famigliari, a causa di questi tristi eventi! Da anni numerosi associazioni in Italia si sono battute contro questa piaga, chiedendo che venisse istituito il reato di omicidio stradale, con annesse modifiche al codice della strada, richiedendo maggiori controlli e prevenzione. Uno degli artefici e dei protagonisti di questa lunga battaglia durata più di un decennio, è il dott. Alberto Pallotti, diventato nel corso degli anni Segretario Nazionale AUFV (Associazione Unitaria Familiari Vittime della strada). Ho pensato fermamente che questo argomento così delicato e importante potesse essere di enorme interesse per tutti voi, ringrazio la redazione di Mat2020 per la grande opportunità che mi è stata offerta, perché sappiate che l’informazione e la sensibilizzazione del problema può diventare senza ombra di dubbio una speranza concreta nel raggiungimento dell’obbiettivo primario: salvare delle vite umane. Ecco a voi la strada che mi ha portato a conoscere il caro amico Alberto.

(Da sx Alberto Pallotti e Gian Paolo Ferrari, al termine della nostra chiacchierata , con grande entusiasmo, ha indossato la nostra mitica t-shirt).

IN UN PAESE SORDO E CIECO: LA LUNGA E DIFFICILE STRADA CHE HA PORTATO ALLA VITTORIA DI UN CITTADINO SPECIALE… ALBERTO PALLOTTI.

La civiltà e il senso civico di un popolo, si possono sicuramente valutare anche e soprattutto dal comportamento che gli automobilisti mantengono sulla strada. E qui purtroppo dobbiamo essere onesti e sinceri, viviamo in un paese molto incivile! Per la professione che svolgo, mi posso ritenere un credibile e autorevole testimone, mio malgrado, di quello che ho appena affermato. Passaggi con il semaforo rosso, mancate precedenze, invasioni di corsie, transito non consentito su corsie preferenziali, biciclette, motorini in contromano, sorpassi azzardati, uso incondizionato del cellulare… insomma un vero festival delle infrazioni stradali; per non parlare della velocità, che diventa la vera e unica causa di questo lungo e poco edificante elenco. Tenete presente, che non sto parlando di comuni distrazioni stradali, queste possono anche succedere e fanno parte della casistica umana del nostro vivere quotidiano, come scivolare dalle scale, o inciampare su di un marciapiede, rompere un vetro ecc. ecc.  La mia riflessione caso mai, punta il dito contro il nostro modo di vivere, il nostro stile di vita, troppo spesso condizionato dalla fretta. Siamo sempre  di corsa, il tempo è diventato per noi un vero problema, un nemico da abbattere, e la velocità diventa una logica conseguenza di tutto ciò; a tal punto che anche i limiti imposti dal codice della strada diventano fastidiosi optionals da usare in casi estremi, vedi autovelox o avvisi dell’ultima ora. Con queste premesse diventa  fisiologico che anche i giovani neo-patentati si adeguino a questa situazione; e così nel corso degli anni, con l’aumento spropositato delle vetture in circolazione sulle nostre strade, anche gli incidenti in sostanza (guardando e analizzando le statistiche) sono aumentati a dismisura, ma il dettaglio più drammatico è che molto spesso non si parla di normali o banali sinistri, ma di autentiche stragi stradali. E qui cominciamo ad entrare su di una tematica molto delicata e importante, infatti le leggi a riguardo non sono mai state molto severe, o meglio, usando una terminologia semplice,  le sanzioni alla fine diventano “abbastanza malleabili”, anche quando si comincia a parlare della perdita di vite umane: credo non serva aggiungere altro in merito, dal momento che è da molti anni che sentiamo parlare delle purtroppo famose e tragiche “stragi del sabato sera”. Incommensurabile il numero di persone che ogni anno perdono la vita sulle nostre strade, talvolta nelle maniere più assurde, molto spesso per colpe altrui causate dall’abuso di alcool e dal comportamento incivile che ho già dettagliatamente spiegato in precedenza, qui stiamo parlando di veri omicidi stradali. Una legge non c’era, non esisteva, non era mai stata pensata o programmata, fino a che, persone colpite da questi tragici eventi, hanno cominciato a muoversi, a ribellarsi e a fare sentire alto il loro grido disperato, la loro sete di giustizia, una giustizia vera, nel pieno rispetto del valore di una vita umana che non potrà mai avere un prezzo… Serviva una legge per cercare di porre fine a questo stillicidio, non è stato facile ma dopo molti anni, siamo riusciti a raggiungere, o meglio, altri per noi, sono riusciti a raggiungere questo grande obbiettivo: una legge specifica che riguarda l’omicidio stradale. Sono persone comuni, normali cittadini, con alle spalle esperienze tragiche, come la perdita dei propri cari, famiglie distrutte che difficilmente potranno ritornare a vivere un briciolo di normalità. Uno dei portavoce di queste associazioni si chiama Alberto Pallotti. Ho avuto il piacere di conoscere Alberto (perdonate la confidenza, ma nel frattempo siamo diventati grandi amici), nella serata di martedì 7 giugno c.a., durante il convegno organizzato da Uritaxi, per parlare e discutere appunto sulle nuove normative del codice della strada inerenti all’omicidio stradale. Quando guardi fisso negli occhi un uomo, e lui non cerca di abbassare lo sguardo, ma di rimando contraccambia il tuo atteggiamento, allora vuol dire che dietro la persona c’è spessore, sincerità, insomma… “un uomo con i giusti attributi”. Siamo entrati immediatamente in sintonia, e vi posso garantire che potrei scrivere un libro sulla sua vita, mi voglio solo limitare alla cosa più importante che ho potuto toccare con mano (oltre al grande spessore umano): Alberto ha 43 anni, sposato con la dolcissima Daniela, entrambi genitori degli splendidi: Vernante (la primogenita), Raul, Teodorico e la piccola e irriducibile Olimpia, una famiglia davvero fantastica. Ho pensato di intervistarlo, e lui ha subito accettato con entusiasmo… Voglio avvisarvi che il tema trattato è molto particolare e per certi versi drammatico. È un racconto sincero e crudo, che in certi momenti sembra faccia uscire tutta la rabbia di un uomo, nei confronti del tempo perduto, delle porte chiuse, delle promesse non mantenute da parte di una certa politica, figlia di un paese sordo e incivile, ecco a voi il mio caro amico AlberTO.


Lo scambio di battute…


Bene Alberto, vorrei ringraziarti in anticipo per la tua cortese disponibilità. Dopo il tuo intervento del 7 giugno, inerente alle tematiche del nuovo codice della strada – omicidio stradale, devo confessarti che hai lasciato il “segno” , come si dice in gergo, e quindi non potevo rinunciare a questa grande opportunità che tu mi hai voluto dare, perciò potresti iniziare parlandomi di te, della tua triste storia che ti ha visto, tuo malgrado, essere un protagonista ancora prima di nascere delle vittime della strada.
Sono io che ti devo ringraziare  Gian Paolo per questa grande opportunità; quando mi hai proposto questa intervista per MAT 2020 ho capito immediatamente che il tuo interesse, vista la professione che svolgi, era sensibilmente sincero. Devo confessarti che mi ha sorpreso positivamente questa tua duplice veste di tassista/giornalista; mi piacciono le persone come te che si impegnano in queste attività, aggiungo che avere la possibilità di raggiungere con l’informazione il maggiore numero di persone è fondamentale per sensibilizzare l’opinione pubblica su questi temi. Hai già colto nel segno, perchè è vero quello che dici: ancora prima di nascere mi sono ritrovato con un copione già scritto che in futuro mi avrebbe segnato per tutta la vita; andiamo con ordine.
Mi chiamo Alberto Pallotti, e sono una vittima della strada. La mia famiglia, una bella famiglia, una ricca famiglia, è stata distrutta da un incidente stradale, tanti anni fa. Mio padre, alla guida del suo autoveicolo, per evitare un trattore che gli aveva tagliato la strada, è finito in un fosso. Sul trattore c’era un uomo che non poteva guidare, in quanto sprovvisto di patente, quindi non in regola. Il signore in questione, facendo un’inversione di marcia per poi rientrare nella corsia( proprio mentre sopraggiungeva la macchina di mio padre), non lasciò a lui scampo nella scelta, se non quella di provare a schivarlo, per evitare la morte certa. La macchina, come detto prima, finì in un fosso, a Felonica Po’. Il fratello di mio padre, Alberto Pallotti, seduto accanto a lui, morì sul colpo, perché  sbattè la testa violentemente nella caduta. Mio padre riportò ferite gravissime. Mia madre lo stava aspettando a casa. Invece ricevette la visita della polizia che consegnava l’impermeabile di mio padre sporco di sangue, e a mia madre fu detto che era morto suo marito, mentre invece era in ospedale. Mia nonna Mafalda, che si trovava in ospedale per la frattura di un piede, nei giorni successivi chiedeva notizie dei figli insistentemente, sino a quando non fu più possibile nascondere il tragico fatto accaduto. Alla notizia che suo figlio Alberto era morto il suo cuore non resse, e cadde in coma, morendo dopo 10 giorni di agonia. Mio nonno Gino, smise di vivere proprio quel giorno. La perdita di Alberto già fu devastante, ma la morte dell’adorata moglie, il 31 dicembre del 1970, fu insostenibile. Egli chiuse tutte le posizioni aperte, vendette la fabbrica che dava lavoro a tutta la nostra famiglia, anzi la svendette, e si lasciò andare, morendo qualche tempo dopo. Io sono nato qualche anno dopo, da un padre ferito nel corpo ma soprattutto nell’anima, e una madre ferita ugualmente. Incredibilmente, forse mia madre patì le conseguenze peggiori: purtroppo cadde in una depressione che la portò  in clinica per molto tempo, togliendola anche dal sottoscritto, e io fui a forza parcheggiato dai miei zii, dove sono vissuto i primi anni della mia vita, senza papà ne madre vicini. Ho pensato e ripensato, non hai idea di quante volte, a quel maledetto 28 novembre, a quegli anni ‘70 che avevano portato morte e disperazione in una famiglia favolosa, divisa tra Italia e Argentina, dove i miei nonni erano andati nel dopoguerra a cercar fortuna. Per chi non ha vissuto tutto ciò è impossibile descrivere quello che abbiamo passato, una tragedia che la mia famiglia non ha saputo affrontare e ha portato la devastazione. Sono cresciuto in questo clima di tristezza, anaffettiva, oblio che solo una famiglia devastata internamente può offrire. Ho sempre colpevolizzato anche i miei genitori, incapace da piccolo di capire perché  avessi dovuto pagare questo caro prezzo, chiedendo loro il perché mi avessero messo al mondo. La risposta a questa domanda mi è stata chiara solo molti anni dopo. Come tutti i ragazzi feriti nell’anima, ma forti e orgogliosi, ho fatto una strada che, visti i problemi, mi ha portato molto presto lontano dalla famiglia di origine, bisognoso di una emancipazione da tutto quello schifo, desideroso di formare una famiglia mia, per dare ai miei figli quello che mi era stato negato, ossia una infanzia serena, protetto e amato dai miei cari.

Certo che non deve essere stato facile vivere sulla propria pelle tutto questo, mi sembra ovvio che questi “segni” rimangano per sempre rinchiusi nel cuore e nella mente. E così già da adolescente hai iniziato ad interessarti agli incidenti stradali, e alle dinamiche conseguenti, diciamo che cominciavi ad arricchire il tuo bagaglio di esperienza, e nello stesso tempo condividevi tutto il dolore e la sofferenza che lo circondava.
E’ vero, il tuo pensiero conclusivo racchiude di per sé quello che stavo vivendo, è giusta la tua descrizione del meccanismo in cui mio malgrado stavo entrando. In verità devo confessarti che in generale gli incidenti stradali mi avevano sempre “attirato”, (negli anni ’80 ci fu l’inizio del problema delle stragi sulla strada), e mentre i miei amici fuggivano davanti a una scena visiva cruda e sconvolgente io mi avvicinavo inconsciamente, desideroso di capire, di analizzare. Mi sono sempre informato di questi gravi fatti di cronaca, cercando di capire quelle che sarebbero poi state le conseguenze (vista la mia tragica esperienza), disperandomi internamente perché  sapevo cosa stava per passare la famiglia della vittima, di tutta la trafila delle cose orribili che stavano per vivere. Non hai idea di quante ore ho dedicate a queste tematiche, sia leggendo i quotidiani che pensando intimamente. Mi sono sempre fermato quando c’era uno scontro, e non solo per portare il mio aiuto, quanto per vedere, toccare con mano quello che era capitato ai miei familiari ma che io non ho mai vissuto direttamente perché non ero ancora nato. Mi è sempre mancato quel pezzo della loro sofferenza, avrei voluto esserci, avrei voluto aiutare a combattere. Abbiamo perso tutto quel giorno, e loro erano da soli. Ho sempre dormito pochissimo nella mia vita, 3/4 ore per notte, la mia testa è sempre stata persa in quel momento in cui tutto cambia, quel momento dal quale non si può più tornare indietro, quella fatalità, quella colpa che è inspiegabile, che lascia un buco, un vuoto enorme, un rammarico devastante. Durante il giorno è più facile non pensarci, ma di notte da soli, al buio, mi risulta quasi impossibile.

Comprendo il tuo stato d’animo, anch’io con la mia professione di tassista mi sono trovato spettatore di qualche incidente stradale, il copione rimane sempre lo stesso, i gesti le parole, sono immagini difficili da cancellare. Qualche volta il pensiero mi torna nei confronti di queste persone … capita anche a te la stessa cosa immagino.
Conosco in modo incredibile tutte le tragedie della mia zona, e non solo. Le vittime non lo sanno, ma li penso moltissimo, tutti. Ho visto scene tremende, impresse nella mia mente ho ricordi indelebili, incancellabili, scolpiti nella pietra di una parte del mio cervello. E le dinamiche, le frasi i pensieri “del dopo”, come in un’atroce sceneggiatura, sono sempre le stesse… “Se solo avessi avuto la possibilità di salutarlo, di baciarlo, di parlargli per un ultima volta”, “se lo avessi chiamato, fermato, poteva salvarsi,  bastava un minuto prima… e forse non sarebbe successo, perché proprio a noi?”, sono le frasi che si rincorrono e che sono simili per descrivere quel vuoto enorme.

Permettimi Alberto questa riflessione, il lettore più attento potrebbe già pensare che non sia poi così tanto normale che un giovane adolescente sia così fortemente interessato alle tragedie stradali, anche tu immagino a quel tempo avrai pensato qualche volta la stessa cosa, o no?
Non riuscivo a capire perché  fossi così morbosamente attratto dalle tragedie, così scuro dentro. L’ho capii  tempo dopo, precisamente il 30 giugno del 2002. Sicuramente Gian Paolo a te questa data non ti ricorda nulla, ma il 30 giugno del 2002 è un giorno-chiave, a mio avviso, in merito alla questione legata agli incidenti stradali in Italia.
Una domenica apparentemente normale, con l’eccezione che quello era il giorno della finale dei mondiali di calcio: Brasile-Germania, l’anno di Ronaldo per intenderci, e la finale fu anticipata, nessuno sa perché, di mezz’ora. Due cugini di Verona, Massimiliano Tommasini (il”Pingio” per tutti, uno dei miei più grandi amici) e Marco Bendinelli stavano tranquillamente guardando la partita, ignari del fatto che quello sarebbe stato il loro ultimo giorno su questa terra. Una volta finita la partita presero le moto intenzionati ad andare al circuito di Misano Adriatica perché loro, che erano due ragazzi a posto, sapevano divertirsi con coscienza, quindi…  quando volevano correre andavano in circuito, come è giusto che sia. Nonostante questo, ad Argenta, in provincia di Ferrara, il destino aveva preparato la sua trappola: un camion che trasportava gabbie di polli vuote ne perse una in curva, uccidendo sul colpo Massimiliano. Il cugino Marco, che lo seguiva a breve distanza, colpendo la gabbia stesa per terra fini nella corsia opposta dove un secondo camion di gabbie di polli transitava, ponendo fine anche alla sua vita. Ecco, quello fu l’esatto momento in cui tutto cambiò.
 
Comprendo che la perdita di due grandi amici abbia potuto sconvolgerti, ma in che senso tutto cominciò a cambiare, che cosa successe dopo.
Venni a conoscenza della tragedia il giorno dopo.  Il meccanismo si stava innescando. Dopo un primo momento di rabbia, di lutto, che mi ha portato per molto tempo al cimitero, vicino a quella tomba carica di significato, mi fu chiaro cosa ero, e quale sarebbe stata la mia missione nella vita. Sentivo dentro di me il forte desiderio di aiutare la famiglia Tommasini, Alberto e Iole (i genitori del Pingio), provando a farli stare meglio per cercare in tutti i modi di alleviare in parte quell’immenso dolore. Mi fu difficile in un primo momento cercare di mettere in pratica i miei buoni e sinceri propositi. Avvicinarsi ad una famiglia così di recente colpita da un simile lutto è quasi impossibile. Ho cercato di far sentire a loro vicini tutti gli amici, cercando nel corso degli anni di onorare la memoria di quei due bravi ragazzi strappati troppo presto dai loro affetti.

Impresa difficile davvero, immagino che non fosse sufficiente tutto questo …
Infatti, non bastava, per quanti sforzi avessi mai potuto fare anche questo non era sufficiente. Purtroppo mi dovetti arrendere all’amara realtà, cioè, che nessuno mai avrebbe potuto portare indietro Massimiliano e Marco, e gli amici o i conoscenti potevano voltare pagina ed andare avanti, per i propri familiari era invece impossibile. Allora ho pensato che mi restava un’ultima  cosa da fare: tentare di impedire che altri morissero.

E così avevi terminato ormai il tuo percorso, e potevi essere pronto a portare a termine il tuo progetto, cioè interessarti attivamente come Associazione vittime della strada a queste gravissime e tragiche problematiche delle stragi stradali.

Certamente, ero consapevole che mi trovavo davanti ad un compito improbo, e forse un altro obiettivo impossibile, ma ero molto pronto a lottare, a vendere cara la pelle prima di arrendermi. Mi ero preparato tutta la vita per la verità, inconsapevolmente, ma ero diventato capace, informato, preparato, sensibile: in poche parole una macchina da guerra, la guerra alle stragi stradali. E ho promesso a me stesso: fermerò questa vergogna nazionale, questa strage infinita della quale nessuno parla, nessuno vuole accorgersene. E’ una promessa che ho fatto a mio zio Alberto, a mia nonna, mio nonno, mio padre e a Massimiliano.

Bene, credo sia arrivato il momento a questo punto, di parlare dell’Associazione Italiana Famigliari Vittime della Strada, (AIFVS) sorta, correggimi se sbaglio, verso la fine degli anni ’90, per arrivare poi ai giorni nostri, con la nascita dell’Unione Italiana Sicurezza Stradale (UISS), realtà importanti che da molti anni sostengono, assistono e divulganole tematiche inerenti a questo grande e grave problema.
L’AIFVS nasce nel 1998 con i comitati nazionali di vittime della strada proposti dall’Avvocato Saladini, di Ascoli Piceno, al Maurizio Costanzo Show. Assieme ad altri fondatori, tutte vittime, tra i quali Marco Montanari, di Verona, marito di Rosanna e padre di Mattia ed Andrea, (tutti uccisi da un pazzo a Nogarole Rocca, il 22 luglio del 1994), hanno fondato l’Associazione famigliari e vittime della strada onlus, che era l’unica realtà strutturata e nazionale presente sul territorio all’inizio del nuovo millennio. Io mi sono avvicinato all’associazione nel 2004, cercando un modo di aiutare la famiglia Tommasini, come precedentemente menzionato. Marco Montanari, che era responsabile locale di Verona, mi chiese di prendere in mano la sua attività di volontariato, perché la sua tragedia era un macigno che non gli permetteva più di seguire come avrebbe voluto le altre famiglie colpite. Vedendo in me molto entusiasmo, capendo che forse ero la persona giusta, mi chiese di aiutarlo. Un grande onore, un grande privilegio ma anche una grande responsabilità. Io fui titubante, in genere non mi piace apparire, ma lavorare nell’ombra. Tuttavia, il movimento era un po’ fermo, stagnante, dopo la costituzione iniziale aveva perso di incisività. Da lì iniziò la mia attività sul territorio, e poi nel direttivo nazionale, sino al 2013, anno nel quale ho capito che non si poteva solo custodire gelosamente la nostra conoscenza ed esperienza nella lotta alla strage stradale, ma era necessario aprire a tutte le realtà che erano nate grazie ad internet. Quei processi aggregativi che avevano portato una serie di sigle dove ognuno lavorava in modo scoordinato, senza una regia. Facemmo un grande incontro a Roma e furono invitati tutti quelli che si erano distinti per iniziative e apparizioni locali e nazionali. Partì in quel momento l’Uiss (Unione Italiana Sicurezza Stradale) ma ci sono voluti altri 2 anni per vedere la nascita di una grande associazione di vittime, L’Associazione Unitaria Familiari e vittime Onlus, l’Aufv, della quale oggi sono il segretario nazionale. L’Aufv non racchiude solo vittime della strada singole, ma anche vere e proprie associazioni. Al nostro interno sono presenti quasi tutte le massime associazioni italiane che stanno combattendo la strage stradale. A mio avviso un passo chiave per la lotta. E’ infatti grazie all’Aufv che abbiamo portato avanti questo grande progetto dell’omicidio stradale, arrivando alla conclusione con il traguardo di questa importantissima legge.
Non dobbiamo più avere paura, ormai il dado è tratto, le associazioni, le vittime, ormai non possono più essere ignorate, calpestate, come troppo spesso è accaduto in passato. Oggi le associazioni sono in grado di farsi ascoltare e rispettare.

Immagino che sarai partito con tanto entusiasmo, con tanta voglia di fare, e immagino anche che avrai trovato qualche difficoltà sul tuo cammino e magari qualche delusione, l’informazione in questi casi credo sia fondamentale, continua pure la tua storia Alberto.
Noto che sei molto bravo ad anticipare i miei pensieri… infatti, pensavo che almeno i mezzi di informazione avrebbero potuto darmi una mano per denunciare questa silenziosa guerra che  avevamo e abbiamo sulle nostre strade. Ma in televisione, sui giornali, si sente parlare di tutto tranne che di questo problema enorme, e provo rabbia per questo. Il problema più grave che abbiamo nei paesi industrializzati, la principale causa di morte per i giovani, che conta 50 mila decessi in Europa ogni anno e 1 milione nel mondo, e questo tragico fenomeno viene liquidato come fosse un inevitabile tributo da pagare al progresso. Basta fare spallucce e dire : “Purtroppo sono cose che capitano“, un modo come un altro,  per cercare di mettere tutti tranquilli, nascondendo come sempre il vero problema, e ancora meno, la voglia di voler trovare una soluzione per risolvere in parte tutto questo scempio di vite umane.
 
Non posso darti torto su questo, hai perfettamente ragione …
Aggiungo che quando poi vai a vedere il numero dei morti lo devi moltiplicare per 3 e avrai il numero dei feriti gravissimi: cerebrolesi, amputati, paralizzati, dializzati, trapiantati, persone che non torneranno mai più a stare bene. Ma ti voglio portare un altro esempio per farti capire meglio queste difficili dinamiche di comunicazione. Se (purtroppo) avviene un attentato terroristico che produce 7 morti, i mezzi di informazione giustamente, danno un ampio spazio a questa notizia, e così vedi poi la gente accendere le candele… e poi metterle sui davanzali alla sera. Quando invece poi muoiono 7 ragazze italiane su un autobus durante un trasferimento del progetto universitario Erasmus, la notizia scorre veloce, senza incontrare particolare solidarietà, o meglio, per i primi giorni diventa la notizia che aumenta l’audience, e poi … ti chiedi: “ Che fine avranno fatto quelle famiglie? Quale sarà stato l’epilogo di questa ennesima strage stradale?”.  Sono passati diversi mesi … te lo dico io, sono rimaste da sole, come la mia.

Questo è uno degli aspetti più tristi, il dimenticare, certamente per te sarà stato un ulteriore stimolo, la consapevolezza che bisognava fare qualcosa di concreto, ma è proprio da qui che inizia a crescere la consapevolezza che forse l’impresa non sarà così facile, se non ricordo male …

Ricordi bene, cominciavo a metabolizzare quali fossero le difficoltà, ma avevo ormai deciso che dovevo fermare tutto questo. Mi sono avvicinato ad una delle più grandi associazioni italiane, trovando persone simili che avevano vissuto simili tragedie, convinto che avrei in poco tempo sistemato tutto, vista la gravità del problema e il mio livello di determinazione. Pensavo ci sarebbero volute azioni eclatanti, bloccare strade e autostrade, in una lotta come si faceva ai tempi degli anni ’60, per cercare di fare capire le nostre ragioni con la forza della nostra voce. Invece ho trovato il famoso ”muro di gomma”, o peggio le sabbie mobili, perché vedi, in tutta sincerità ti devo confessare che anche tra noi vittime, purtroppo, il livello di dolore è tale che non  ti permette quasi di avere voglia di lottare.
 
E la conferma  dei tuoi pensieri, se non sbaglio, è arrivata proprio al primo importante appuntamento nel 2005 …
Esattamente, proprio nel 2005, anno del primo presidio a Roma, eravamo forse in 10. Io ero allibito. Ci sono stati 300 Mila morti negli ultimi 40 anni in Italia, forse di più, e 1 milione e mezzo di feriti gravi ed eravamo solo in 10? Ma dove è la gente? È’ stato forse il momento più brutto, perché non mi aspettavo sarei stato sostanzialmente da solo. Ci sono logiche, dinamiche, che per me, vittima laterale di una tragedia erano incomprensibili. Forse i tempi erano immaturi, la politica e le istituzioni ci scherzavano, giornali e TV pure, abbiamo vegetato anni a mandare e-mail e fax senza ricevere risposte. Siamo stati una voce flebile, e nonostante io avessi dentro la forza e l’energia di un leone, mi sentivo imbrigliato da un sistema strano, farraginoso, che ha mille porte ma che quando provavo ad aprirle, nello stesso tempo arrivava quel subdolo soffio leggero che di rimbalzo le richiudeva.
 
2005-2010: 5 anni dopo, arriva la svolta, cinque anni lunghi, difficili, dove mi raccontavi hai avuto più volte l’impressione di non farcela, e invece… l’ennesimo fatto tragico cambia completamente lo scenario, questa volta era stata coinvolta la persona sbagliata, spiegaci meglio nel dettaglio che cosa è successo…
Erano passati cinque anni molto difficili, la mia determinazione stava per crollare, ma nel 2010 succede un’altro fatto gravissimo. Lorenzo Guarnieri, un giovane di 17 anni, viene falciato e ucciso da un ubriaco, il 2 giugno a Firenze. Questo fu un altro momento di svolta nella lotta alla strage stradale, a mio avviso forse quello più determinante. Possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo, possiamo anche prenderci tutti il merito di questa incredibile legge che segna un passo della nuova civiltà italiana, ma il motore iniziale e determinante di questa legge è stata la famiglia Guarnieri, assieme a quello che a quel tempo era il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Per un giusto riconoscimento direi che loro mi hanno dato un grande aiuto nell’ideare e sostenere il progetto di un effettivo cambiamento della legge denominandolo con il suo vero nome, cioè omicidio stradale. Posso tranquillamente dire che se ipoteticamente avessimo lottato contro un nemico invisibile che ha orchestrato e messo in scena la strage stradale, l’omicidio di Massimiliano Tommasini e di Stefano Guarnieri, con il senno di poi, è risultato il prodotto di due errori madornali, perché hanno segnato una reazione incredibile a catena, che ha portato  a delle conseguenze incredibili ed efficaci. Senza ombra di dubbio erano state uccise le persone sbagliate! Ovviamente, io e Stefano Guarnieri non siamo le uniche persone che hanno contribuito questo incredibile passo, Roberto Cocco, e suo zio Claudio Martino, Roberto Cona e sua moglie adorata Marina Fontana, Rosario e sua mamma Francesca, Matteo e sua mamma Croce, Luigi e i suoi genitori Biagio ed Elena, Mario e i suoi genitori Rosa e Giuseppe, Gabriele Borgogni con la sua famiglia, le vittime dell’A16 e il loro rappresentante Giuseppe Bruno, e tanti altri. Persone coraggiose, sempre presenti, che sono state determinanti per arrivare alla legge. Come ho detto prima, Nel 2005 non eravamo tanto considerati, nel 2014 invece, fu chiaro che non eravamo più delle zanzarine, e che stavamo facendo sul serio. 


La macchina da guerra era partita, ma qualche ostacolo era ovvio dovesse incontrarlo, erano semplici dossi o montagne da scalare?
Magari fossero stati semplici dossi (sorride n.d.r.)… A questo punto, il sistema ha cominciato a notarci, e ha iniziato a lanciare i propri anticorpi, a propria difesa, basti pensare che la circolazione stradale è un affare enorme. Autostrade, pedaggi, vendita di automobili, pezzi di ricambio, officine, vendita di moto, scooter, e soprattutto la vendita di assicurazioni e benzina, la tassa sulla quale si regge il nostro sistema. Ti faccio un esempio: mi fanno sorridere quelli che dicono: “questi politici fanno schifo, mandiamoli tutti a casa”. Basterebbe smettere di fare benzina, per fare fallire lo Stato, o meglio il “Sistema Italia”. In brevissimo tempo, potrebbero essere già tutti a casa, ecco che allora e sottolineo solo allora si potrebbe pensare di ripartire, in un altro modo ovviamente… Di fronte a questi interessi, come puoi ben pensare che si possa presentare uno come me, in Parlamento, al Senato, dai ministri e dire: “Egregi signori, la patente non è un diritto costituzionale, non è una libertà improrogabile dell’individuo, ma una licenza data a chi è veramente  in grado di guidare un autoveicolo“. Perché un’altro problema dei nostri tempi è che ci sono troppe patenti in giro, e troppe automobili, e il mondo corre troppo velocemente. E’necessario ridurre prima di tutto la velocità, la fretta. Dobbiamo limitare la circolazione stradale,ridurla. L’esame della patente, per il rilascio e per il rinnovo, è quanto di più poco serio esista. Non è credibile infatti un esame che viene passato da tutti! Ma quando in caso di un incidente grave ti lamenti, chiedi i dati, delle risposte, qui allora intervengono le maglie della burocrazia, che con i giusti metodi ti imbrigliano. Perché alla fine la patente deve essere data a tutti, anche a quelli incapaci di guidare, e ce ne sono tantissimi sulle nostre strade. Di conseguenza revocare una patente, magari ad un recidivo ubriaco che è stato trovato cinque volte positivo, è un concetto che non faceva presa sui nostri legislatori, sino a poco tempo fa. Toccare la mobilità, la circolazione, le patenti, in Italia era inconcepibile, come anche mettere i colpevoli di gravissimi incidenti in galera, dove è giusto che stiano. Mi sono confrontato, ho parlato a lungo con i nostri legislatori in merito a queste tematiche per far capire loro che dovevamo pensare a un modo per intervenire con fermezza. Era necessario studiare una fattispecie di reato in grado di prevedere certi gravissimi comportamenti come dolosi invece che colposi. Non si doveva più tollerare che chi uccide ubriaco, drogato, in contromano, quattro ragazzi innocenti possa sostenere che in realtà non voleva farlo, che si è sbagliato. Come quando si spara in mezzo alla folla, sarebbe ingiusto sostenere, e sperare che un giudice ti creda, di non aver voluto uccidere. L’automobile è un arma, ed esiste una fattispecie di reato che deve essere messo tra il colposo e il volontario. Ho parlato con molte persone che ci rappresentano, come Schifani, Giovanardi, Nitto Palma, con Francesco Paolo Sisto, tutte persone che hanno fortemente osteggiato l’introduzione dell’omicidio stradale. Persone preparate, ma che non sono riusciti a capire che la vecchia mentalità, quella degli anni ottanta, novanta, non va più bene, che la strage è infinita e necessita di contromisure urgenti, puntuali, efficaci.
 
Si sente parlare spesso dei famosi “poteri forti”, quindi tu hai avuto l’opportunità di toccare con mano questa realtà, nell’ambito del tuo progetto di modifica alla legge, ci vuoi spiegare meglio?
Ovviamente! I poteri forti controllano, hanno paura dei cambiamenti. E l’incidente stradale è anche un businnes enorme. Questo nessuno te lo dirà mai, ma è così. Ho sentito anche frasi oscene seduto in balconata al Senato, o alla Camera, come per esempio: ”che la vera vittima di un incidente è il colpevole, perché in fondo ha la vita distrutta!”. Ragionare così vuol dire essere vecchi, di vecchia concezione, inadatti a capire la realtà quotidiana, inadatti a governare e pronti per il giusto riposo. Ed è qui che abbiamo dato il meglio di noi come Associazione Vittime. La legge, siamo chiari, doveva saltare. L’attuale maggioranza non aveva i numeri per portarla a casa, un onorevole dalla nostra parte mi ha detto: “Se votiamo a scrutinio segreto, non passa, perché abbiamo 1000 patenti contro“. E così è stato, e la legge è rimbalzata cinque volte tra le Camere, ed è stata portata a casa con la fiducia, per due volte. Molti dei nostri amministratori hanno sollevato problemi di incostituzionalità, hanno presentato moltissimi emendamenti, hanno costretto la maggioranza a delle modifiche che hanno solo peggiorato le cose. Ed è incivile che il governo abbia dovuto porre la fiducia su questa legge che avrebbe dovuto vedere una approvazione all’unanimità. Il metodo italiano, il bicameralismo perfetto, può intrappolare ogni iniziativa di ogni tipo tra emendamenti, rinvii, piccole modifiche, che rendono ogniprocesso di cambiamento ingessato e pieno di insidie. Se non fosse stato per Renzi, e per l’impegno preso con la famiglia Guarnieri e con noi vittime, non avremmo mai avuto la legge 41/2106, che riguarda l’omicidio stradale.

Non voglio entrare in discorsi politici che non mi competono, ma ti posso comprendere in quello che dici. Trovo che l’Italia sia un paese strano, molto spesso si sente pronunciare dalla gente comune che: “ Questo paese non funziona perché non esiste la certezza della pena, e perciò tutti fanno quello che vogliono perché appunto non esiste giustizia”. In questa nuova legge che riguarda l’omicidio stradale, finalmente abbiamo regole e pene certe, nonostante questo si sono scatenate numerose polemiche… ci vuoi spiegare meglio questa strana situazione che si sta creando?

Hai perfettamente descritto l’anomalia del nostro paese, ci lamentiamo ma sembra quasi che alla fine dei conti qualcuno non accetti di buon grado un cambiamento. E così adesso stiamo assistendo alla strumentalizzazione politica, alle polemiche su giornali e media, a certi convegni, vere e proprie crociate dei poteri forti che vogliono demolire questo passo di civiltà. Per fare questo danno informazioni strumentali e tendenziose per spaventare tutti, per mettere in cattiva luce questa legge. Certo, non è perfetta, ma segnalatemi una legge che lo è, perché io non la conosco. La verità è che questo impianto di legge non ha punti deboli o errori grossolani, meno che meno l’incostituzionalità. La verità è che questa legge aiuterà a fermare la strage stradale, riducendola. A mio avviso dimezzeremo i morti e feriti entro 10 anni, già da adesso vedo dei cambiamenti. Qualche volta al bar sento dire: “Ehi! Non c’è più tanto da scherzare quando guidi, attento a bere un bicchiere in più“. Questa legge, cari lettori di MAT, non è una limitazione della propria libertà, ma un passo di civiltà e di rispetto nei confronti del prossimo. Come si può pensare di avere più paura di perdere la patente, o di fare il carcere, piuttosto che di essere uccisi, o gravemente feriti, magari da un ubriaco o drogato? 4000 morti l’anno, 10000 feriti gravissimi, ora, sulle nostra strade. Una scia di sangue irreale. Ma ti rendi conto che in un momento, per colpa magari di un’ incosciente, puoi rischiare di perdere tutto? E anche se fosse qualcuno che si è sbagliato, che non ha visto, che stava telefonando, vale lo stesso ragionamento: perché  non devi sbagliare se si tratta di una vita umana, se si tratta di rischiare di distruggerla.
 
E allora cominciamo ad entrare nei dettagli di questa nuova legge. Che cosa cambia?
Le cose che cambieranno sono molte… una su tutte: se uccidi qualcuno, ubriaco, drogato, o lo ferisci gravemente, se lo fai passando con il rosso, in contromano oppure a velocità doppia rispetto al consentito, il carcere non lo puoi più evitare, perché la pena minima sotto la quale il giudice non può scendere sono 5 anni. Se scappi dal luogo dell’incidente, invece rischi sino a 18 anni di carcere e  30 di ritiro della patente. Sono state inserite nella legge anche le ferite stradali, per la prima volta, e non sono più legate alla querela di parte. Le denunce scattano di ufficio, per una prognosi di guarigione lunga. Cambieranno molte cose, le procure dovranno lavorare seriamente per le indagini e il tribunale pure per i processi, che adesso certamente dovranno essere celebrati. Quando prima c’era un morto, e ce ne sono stati 400.000  in Italia negli ultimi 40 anni, nel 99 per cento dei casi il penale si è chiuso con il patteggiamento. Incredibile vero? Ma è così. Una giustizia che “dimentica” che l’omicidio colposo è un reato da perseguire e indagare puntualmente, e liquida il tutto in una udienza di 20 minuti, è il simbolo di una società che si è assuefatta a questa assurda strage.
 
Ma c’è anche una giustizia civile oltre che a quella penale, anche qui ci saranno evidentemente dei cambiamenti, e qui a mio avviso entriamo nel campo dei risarcimenti se non sbaglio, altra materia molto delicata e importante, dove purtroppo emergono interessi nascosti, e qui entrano in ballo le compagnie assicurative …
Appunto, dici bene. Non si può non menzionare la seconda “giustizia”, perché  non esiste solo quella penale, ma anche quella civile. Se vogliamo capire la strage stradale è fondamentale capire il discorso risarcitorio, ossia il valore della vita umana. Quanto vale una vita? Come potergli dare un valore in chiave di risarcimento? E’ impossibile. Pensiamo ad un grande campione dello sport, uno che guadagna milioni di euro. Se fosse ucciso sulla strada l’assicurazione dovrebbe pagare tutto il massimale. Pensiamo se fosse stato ucciso da bambino, magari investito da un ubriaco sulle strisce davanti a scuola. Nessuno avrebbe mai saputo cosa sarebbe potuto diventare, e perciò ipotizzare  quali sarebbero stati i propri guadagni (cifre enormi). Questo sistema iniquo ti mette davanti a delle “tabelle”, ti dice che la vita di un bambino vale poco, in quanto non produce nulla, vale solo affettivamente, ti fa una proposta e tu magari l’accetti, stremato dal dolore. Morale, famiglie in qualche modo “soddisfatte” ma le assicurazioni molto di più, perché a fine anno gli utili crescono, spinti dalla differenza tra premi incassati e risarcimenti pagati. Gli avvocati lavorano per arrivare alla definizione del risarcimento, trattano un poco con l’ assicurazione, un paio di conteggi e dopo 6 mesi incassano la loro parcella, un bel 10 per cento, troppo spesso in nero, che a volte può anche essere di più.
 
Insomma, un sistema perfetto, un grande business …
Ancora una volta hai capito il senso delle mie parole, ci troviamo di fronte ad un sistema perfetto, un business enorme. Ma secondo te può esistere che risarcimenti milionari vengano sempre e solo decisi tra avvocato e liquidatore senza la decisione di un giudice? Perché è questa la realtà. Portami qui dei casi nei quali un giudice ha deciso il valore della vita umana e io te ne porterò 100 volte tanto di quelli nei quali il valore alla vita umana lo hanno dato i parenti delle vittime. Perché è bene che si sappia, chi accetta il denaro relativo alla morte di un congiunto ne ha stabilito anche il valore della sua vita. È questo le vittime non lo capiscono, spinte da professionisti che si appoggiano al facile concetto che i processi sono lunghissimi e che alla fine la liquidazione del danno sarebbe anche inferiore se decisa da un giudice. Di certo, quello che sarebbe inferitore è la liquidazione del loro onorario, che data da un giudice si aggira sul 3 per cento del valore, mentre nel caso ditrattativa privata ha un minimo di 6/8 per cento ma può crescere anche fino al 30 per cento in alcuni casi. Uno schifo, una vergogna. Devo dirti sinceramente che se la giustizia fosse più veloce, puntuale, seria, non si potrebbe fare più leva su queste debolezze per approfittarsene.
 
Immagino che dalla tua enorme e più che decennale esperienza maturata sul campo, avrai pensato a qualche soluzione in merito. Pensi che in futuro si possa cambiare anche questo panorama, sempre collegato purtroppo alle stragi stradali?
Certo che sì! Nel corso di questi anni ho potuto studiare molto bene questa materia molto delicata, ho avuto modo di riflettere e di studiare caso per caso ogniqualvolta mi è stato concesso dagli eventi. Per cui ho elaborato una proposta interessantissima. Una proposta rivoluzionaria, che va dritta al cuore del problema, una proposta disarmante perché fattibile e molto vantaggiosa per tutti. Tu lo sai perché esiste l’Inail? Perché molto tempo fa, durante il fascismo, si decise che non si poteva lasciare in mano alle assicurazioni private la tutela sul lavoro. Troppi i casi di lavoro in nero. Allora è stato fondato l’Inail. Giova ricordare che l’Inail è il “tesoro” dello Stato. Produce utili enormi, minimo 600 milioni di euro ma è arrivato anche a 3 miliardi di euro l’anno. Ma ti rendi conto che le morti bianche sono 1000 l’anno? E che 500 sono vittime della strada? Si può capire facilmente che l’incidente stradale è un fenomeno almeno 20 volte superiore, perché ci sono i feriti. Per quale motivo non è stato tolto alle assicurazioni il controllo delle RC auto, magari accorpando il servizio all’Inail? Stiamo parlando di un nuovo ente, che produrrebbe utili spaventosi. 20 miliardi di euro l’anno, ma forse molti di più. Certo, utili da togliere alle assicurazioni, al privato. Perché da un punto di vista squisitamente economico, vogliamo dare 20 miliardi ogni anno, ma sono di più in realtà, ai pochi padroni delle assicurazioni, che in più per la maggior parte sono esteri e portano i capitali fuori dall’Italia? 20 miliardi di euro sono una finanziaria. Con quei soldi potremmo abbassare il costo della benzina, aumentare i fondi per lo sport, l’agricoltura, o magari per aiutare i diversamente abili.
 
Devo confessarti che il tuo ragionamento non fa una piega, come mai nessuno ci ha mai pensato?
E’ ovvio che nessuno ci abbia mai pensato a questa grande riforma, qui ritornano in ballo gli intoccabili poteri economici. Poteri che poi comprano il nostro debito pubblico, finanziando la spesa per gli interessi, acquistando Bot e Btp. E che ci mantengono con il rating di “paese spazzatura per gli investimenti”. Tra l’altro, RC auto in mano allo Stato sarebbe un sistema molto più equo, un assicurazione che proteggerebbe tutti, anche i veicoli non assicurati, che ci difenderebbe dai pirati della strada, magari anche dagli incidenti senza colpevoli che lasciano famiglie senza reddito e senza ristoro.
 
Devo dirti con sincerità, che trovo le tue analisi sempre molto lucide, e i tuoi propositi di cambiamento molto efficaci …
Io credo in tutto questo, e quando vedo coraggiosi esseri umani che combattono contro la mafia a Palermo oppure a Napoli, mi sento un po’ escluso. Anche il sottoscritto, con tutta l’umiltà possibile, combatte una mafia gigantesca, che ha permesso scempi e umiliazioni a famiglie intere, che ha permesso che venissero uccisi, calpestati, derisi nei tribunali e abbandonati. Non esiste solo la mafia che uccide per strada, ma anche una mafia passiva, che lascia che tutto scorra, anche le cose che fanno schifo, e che non interviene anche se potrebbe farlo, anzi che resiste ai cambiamenti. Colpevolmente, e che anzi aumenta gli ostacoli per fare in modo che la situazione non possa cambiare, come abbiamo visto in Parlamento. Certo, qualcuno in buona fede, seriamente preoccupato che questa legge possa essere “dannosa”, esiste, ma altri, e sono molti, dovranno fare il conto con la loro coscienza.

 
In Parlamento hai trovato solo un muro di gomma, o sei riuscito nel tempo a raccogliere un briciolo di solidarietà, visto il tuo caparbio e tenace impegno.
Durante l’iter dei lavori parlamentari sono stato citato pubblicamente alla Camera e al Senato due volte, in segno di ringraziamento per il grande impegno profuso. Per questo motivo, qualche detrattore ha battezzato questa legge la “legge Pallotti”, anche se non è vero che sia la mia legge, in quanto è una legge giusta di tutto il popolo. L’intento è stato quello di farla apparire un pò come una vendetta da parte di noi vittime, ferite, distrutte, che per sfogare il proprio dolore si inventano una legge repressiva ed esagerata per punire tutti. È stato un altro modo con il quale “il sistema” ha cercato di reagire. E ho ricevuto anche un sacco di critiche, anche dai miei stessi amici, timorosi di perdere prerogative di libertà e la loro amatissima patente di guida. Le persone che criticano, ne sono profondamente convinto, non conoscono davvero il problema, sono male informati e strumentalizzati da chi sa come spaventare, come allarmare, come far sentire il popolo minacciato nelle proprie libertà, anche le più dannose e scorrette. Io non mi stanco mai di continuare a ripetere che qualcosa è’ cambiato, che bisogna stare molto attenti, ma dentro di me sorrido perché mi sembra impossibile debba dire una cosa che doveva essere capita molto prima, anche senza questa legge.
 
Obbiettivamente devo dire che la legge, evidentemente, ha qualche leggera lacuna. Non mi sembra che si parli di uso improprio del cellulare alla guida, comportamento che è all’origine di molti incidenti, qualcuno purtroppo anche mortale …
Non ho mai detto che questa legge sia perfetta, certamente non è come la volevamo e la avevamo ideata e proposta. In merito ai telefoni cellulari bisognerà punire la guida mentre si telefona oppure si usa il cellulare, c’è da rendere più equo il provvedimento per certi aspetti, ci sono da limitare le conseguenze nei casi limite, quelli tanto paventati dalle forze di opposizione, che hanno etichettato questa legge come inutile, addirittura dannosa. Ho sentito parlare di futuro pieno di casi di fuga dagli incidenti stradali, di aumento indicibile dei pirati della strada, grazie a questa legge troppo severa. Come un monito: non fate leggi troppo severe altrimenti le trasgrediranno e la faranno franca. Mancava solo questa.  Vorrei citare le parole del Comandante Luigi Altamura, della Polizia locale di Verona: “I telefoni cellulari e altri simili, la moderna tecnologia, ormai usata da tutti, offre straordinarie possibilità investigative e, complice le numerosissime telecamere presenti sul territorio, sarà una possibilità sempre più efficace di individuare eventuali pirati della strada, e sarà sempre più difficile farla franca”.
 
Comunque qualche polemica mio caro Alberto si poteva mettere in preventivo. Appartiene per tradizione al DNA di questo nostro paese, concordi?
Effettivamente non posso darti torto. Ricordo benissimo l’introduzione della legge che obbligava i conducenti ad indossare la cintura di sicurezza alla guida. Ricordo le perplessità perché la cintura avrebbe potuto diventare pericolosa addirittura in caso di caduta in acqua del veicolo, oppure che la cintura poteva ad alte velocità creare lesioni interne devastanti. Tutte strumentalizzazioni, le solite, patetiche, argomentazioni prodotte da chi rifiuta il cambiamento, anche il più giusto. Ricordo perfettamente l’introduzione dell’obbligo del casco alla guida, ricordo le obiezioni sollevate. Ognuno è padrone della propria vita, il casco può essere anche più dannoso, e citavano i casi limite, quelli dove il casco si è rivelato più uno svantaggio che un vantaggio nella dinamica. Le obiezioni che ho sentito a questa legge, i casi limite citati, sono il solito meccanismo di fermare, di conservare, di non introdurre novità. Non ci sono casi limite signori, qui si muore davvero, una tragedia immensa che ci colpisce da vicino, direttamente.
 
A parte le giuste considerazioni fatte, relative all’omicidio stradale, abbiamo altri casi meno gravi, in cui l’automobilista, o peggio ancora, un professionista della strada come il sottoscritto (servizio Taxi), potrebbe trovarsi coinvolto. Ti faccio un esempio: un tamponamento, una manovra di retromarcia e così via… Con questa nuova legge, di riflesso si comincerà a rischiare molto, potresti chiarire meglio anche questi delicati dettagli e magari dare un tuo parere in merito.
Ti ringrazio per questa domanda. Ho sentito parlare della possibile “retromarcia in parcheggio” e per sbaglio l’urto dell’anziana novantenne, con la stessa che cade e si frattura un braccio che può costare fino a 5 anni di ritiro della patente… Ma nessuno pensa che quell’anziana potrebbe essere la propria madre, nonna, sorella, e che bisogna stare più attenti? Sì signori, bisogna stare attenti anche quando si fa retromarcia nel parcheggio, perché la gente muore quando non si sta attenti. Prendiamo il caso della retromarcia, emblematico. L’ho sentito tirato in ballo diverse volte, moltissime per la verità. Vi stupireste se vi raccontassi quanti bimbi muoiono nei parcheggi delle proprie case, investiti proprio dai parenti in retromarcia? Chiudete gli occhi per un istante e pensate, vi colpisce di più che la patente se ne va per molto tempo, o vi colpisce di più l’immagine di quel povero bimbo che aveva tutta la vita davanti, ma che adesso giace steso nel cortile di casa in un lago di sangue? Ed è la stessa cosa anche per l’anziana signora. Davvero vogliamo paragonare anche lontanamente le due cose? Siamo forse diventati così? Un popolo automa, che corre, lavora, corre ancora, a volte per errore uccide e si preoccupa che magari potrebbe perdere il lavoro? È proprio questo l’intento di una legge penale, prevenire oltre che assicurare alla giustizia il colpevole. La paura delle conseguenze, della punizione scongiura nuovi reati, aumenta l’attenzione come è giusto che sia. Meglio perdere un momento in più per scendere dal veicolo per controllare che il proprio bimbo, o l’anziana ultranovantenne, non stia transitando proprio in questo momento. Si chiama umanità. Senza contare che ci sono tecnologie che aiutano, i sensori, le telecamere. Ecco in questo mi sono ripromesso di aiutare a limare le criticità. Non ci sto ad etichettare come sola colpa del conducente un sinistro. L’errore umano è capibile, molto meno quello di chi ha posto in essere le condizioni perché un sinistro si verificasse. Potrei citarti per filo e per segno quello che ho visto di sbagliato sulle nostre strade. Ricondurre tutto all’errore umano non ci aiuterà a risolvere nulla. Criminalizzare l’utente della strada non è una strategia giusta. L’uomo può sbagliare e va aiutato in ogni modo. Mi farò portatore di pressioni sul nostro legislatore perché investa nella sicurezza dei veicoli, nella sicurezza delle strade. Posso formare quanto voglio un guidatore e può essere il miglior pilota al mondo, ma se le curve sono insidiose e i guard- rail si spezzano e trafiggono i veicoli come scatoline c’è poco da fare.  E dobbiamo dare modo a chi dovesse perdere la patente per molto tempo di non diventare un disoccupato, di non perdere il lavoro, di non avere la propria vita compromessa. Penso alle categorie professionali (come la tua Gian Paolo) che passano gran parte della propria vita in strada per lavoro. Bisogna prevedere forme di tutela in caso di grave incidente con lieve colpa. Una tutela che possa compensare la perdita del lavoro per il ritiro della patente.
 
Quello che hai detto mi sembra ragionevole, vorrei aggiungere che la condizione e la manutenzione del nostro manto stradale lascia molto a desiderare, e anche questo può incidere in certi casi a diventare un fattore determinante nella causa di un sinistro, qui entra in ballo un concorso di colpa a mio avviso …
Come dicevo prima non si può criminalizzare e abbandonare l’utente della strada. Per il semplice cittadino, se dovesse rimanere senza patente, dobbiamo offrire dei correttivi come il servizio pubblico puntuale ed efficiente. Non dobbiamo permettere che chi sbaglia e paga rimanendo a piedi non possa più vivere. Hai detto bene, adesso con il concorso di colpa anche dei gestori delle strade, molto cambierà.  Tempo fa mandavo lettere continue, segnalando black- point oppure altre situazioni di pericolo. Da ora in poi chi riceverà le segnalazioni dovrà intervenire, non potrà fregarsene, perché le procure indagheranno e soprattutto i colpevoli cercheranno altri colpevoli per godere di notevoli sconti (metà della pena). E i processi saranno celebrati, con grande beneficio per la giustizia. Sarà quindi una giustizia più giusta.
 
Ti ringrazio nuovamente Alberto, la tua storia credo farà riflettere. Personalmente mi hai lasciato nel cuore un mix di emozioni che a parole non riesco a descrivere. Mi auguro che qualcuno leggendo questa semplice intervista abbia avuto il modo di capire il senso, ma soprattutto l’obbiettivo che si vuole raggiungere con questa nuova legge: salvare delle vite umane.
Grazie a te Gian Paolo, e  in particolare a tutta la redazione di MAT2020, siete stati veramente fantastici per la sensibilità che avete dimostrato nel volere affrontare una tematica così importante e delicata. Avere avuto a disposizione questo spazio su di un magazine musicale, mi ha riempito veramente di orgoglio. Vi ringrazio ancora, ma soprattutto voglio abbracciare tutti i vostri numerosi lettori, raccomandando a loro la massima prudenza al volante. Ricordatevi sempre che  basta veramente poco alle volte per cambiare la vostra o un’altra vita, percorrendo una strada …

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