Cassazione: è reato di falso ideologico indicare un falso nome per la decurtazione dei punti patente. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 46326 del 2013, ha ricordato che rischia una condanna per falso ideologico l’automobilista che fornisce alle autorità competenti il nominativo di un altro soggetto come guidatore dell’autoveicolo per sottrarsi alla decurtazione dei punti sulla patente.
Il caso preso in esame dai giudici della V Sezione Penale della Corte di Cassazione, vede come protagonista una donna che comunicava alla Polizia Municipale di Roma – in due occasioni – che alla guida di distinte autovetture a lei intestate, all’atto dell’accertamento di infrazioni al codice della strada, si trovava un altro soggetto. Il soggetto indicato dalla donna, che effettivamente si occupava in quel periodo, dietro compenso, di accompagnare a scuola i figli della signora e di andarli a riprendere, utilizzando l’auto della donna, aveva ricevuto le conseguenti comunicazioni attestanti la decurtazione di punti dalla patente di guida a seguito di accertati illeciti amministrativi (l’imputata aveva invece provveduto al pagamento delle correlate sanzioni pecuniarie); tuttavia, l’uomo aveva palesato immediatamente la propria estraneità agli addebiti, commessi in zone della città ed in orari non compatibili con le incombenze che egli normalmente curava per conto della signora.
I giudici di legittimità precisano che “la convinzione della donna che alla guida delle due vetture si trovasse l’uomo, (…), è infatti esclusa dal rilievo che ella, il (…) di quello stesso anno, adottò un comportamento identico, inviando al competente Comando di Polizia Municipale due dichiarazioni analoghe nelle quali segnalava appunto di non essere stata lei a condurre le auto in questione, bensì lo stesso (OMISSIS): come sottolineato nella pronuncia del Tribunale, “le dichiarazioni in discorso sono state rese non contestualmente, bensì in due diverse occasioni ed alla distanza temporale di circa due mesi, il che consente, in sede di valutazione, di escludere tanto l’eventualità di un errore, quanto la buona fede della stessa (OMISSIS), la quale, in un arco temporale così ampio, avrebbe ben potuto rivolgersi allo (OMISSIS) per chiarire insieme i termini della vicenda”.
Ineccepibile – si legge nella sentenza – è il conseguente sviluppo motivazionale della sentenza del giudice di prime cure, sul piano logico, laddove si rappresenta che i fatti “vanno considerati congiuntamente alla condotta di seguito tenuta dall’odierna imputata, la quale – stando alle ricevute depositate – nel luglio 2004 ha provveduto al pagamento delle predette sanzioni pecuniarie, facendo poi pervenire allo (OMISSIS) copia delle relative quietanze. Un simile comportamento – pur ove ingenerato, come sostiene la parte civile, dai continui interpelli e richieste di chiarimenti che lo (OMISSIS) aveva già rivolto alla (OMISSIS) – porta a ritenere che le mendaci dichiarazioni scritte, rese alla Polizia Municipale dall’imputata, non sono state fornite allo scopo di rendersi esente dalle obbligazioni economiche conseguenti alle due contravvenzioni, bensì erano orientate (fin dall’inizio, oppure dall’evolversi della vicenda) a conseguire un diverso “ingiusto profitto con altrui danno”, come è da ritenere sia stato, verosimilmente, quello di non subire lei stessa od altro suo familiare facente uso delle due autovetture in questione decurtazioni di punteggio dalla propria patente di guida”.
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