URBINO. Si chiude il processo legato alla morte di Cristian Fiorucci, avvenuta il 15 novembre del 2017 lungo la statale 452 Contessa, a pochi chilometri dal centro abitato Pontericcioli (in provincia di Pesaro ed Urbino).
La vittima (27 anni) era di rientro da una trasferta di lavoro nelle Marche e sedeva a lato passeggero all’interno di un pick up condotto da un collega 22enne italiano di origini straniere che, in una prima fase processuale, aveva negato di essere al volante della vettura. I soccorsi tempestivi, successivi allo schianto, non riuscirono a salvare la vita al giovane di Gubbio.
Il conducente, assistito dall’avvocato Ubaldo Minelli, è stato definitivamente condannato dal Gup di Urbino, Vito Savino, a seguito di rito abbreviato, a un anno e quattro mesi di reclusione, con la condizionale e pena accessoria di 4 anni di sospensione della patente di guida. Il verdetto è stato emesso intorno alle ore 16:30 di martedì 16 aprile 2019 presso il Tribunale di Urbino. Ammessa come parte civile l’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada.
“Un procedimento – afferma l’avvocato Emilio Perfetti, legale della famiglia Fiorucci – nel quale l’imputato è stato condannato semplicemente per la violazione delle norme che riguardano una generica imprudenza, ovvero velocità 70/80 circa, e non in relazione al manto stradale bagnato. Un particolare è che l’albanese ha dichiarato di non essere lui alla guida, per poi confessare il contrario. Il motivo di orgoglio per l’associazione è quello di essere stata ammessa come parte civile e l’imputato condannato al risarcimento dei danni. Probabilmente, il difensore dell’imputato farà appello, ma noi attendiamo i 90 giorni per il da farsi”.
“Per me è stato un piacere poter collaborare con l’associazione, il cui lavoro su piano nazionale apprezzo pienamente e ritengo importante – afferma il sostituto processuale dell’avv. Emilio Perfetti, l’avv. Mirco Cancellieri -. E’ una realtà che si fa portatrice di nobili ideali e che si muove verso la tutela e la sensibilizzazione delle persone in relazione alla sicurezza stradale. Sono stato felice di essere stato un piccolo uomo che ha dato il suo contributo ad una grande realtà. Ho avuto modo di lavorare con l’avvocato Perfetti, del quale ho seguito le linee guida e di cui ho potuto apprezzare qualità ed esperienza. Ho cercato di essere fedele ai punti focali, figli del lavoro svolto da Perfetti”.
“La nostra presenza su piano nazionale si fa sentire processo dopo processo – afferma il presidente dell’Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, Alberto Pallotti -. I riti abbreviati, a nostro parere, non rappresentano, di certo, motivo di orgoglio per la legge italiana: alle famiglie nulla può restituire i figli, ma definire un anno e quattro mesi la giusta pena da infliggere, vorrebbe dire mentire. Vigiliamo sui casi e siamo presenti in prima linea seppur, mio malgrado, questo processo mi ha dato ulteriore dimostrazione di una cosa molto triste: sono deluso del fatto che abbiamo dovuto registrare eccezioni da parte sia della difesa dell’imputato che della famiglia della vittima.
Siamo di fronte ad una forma di ostracismo forense nei nostri confronti; dovrebbero rendersi conto che il nostro scendere in campo è un beneficio e non un ostacolo. Temo dicano tutt’altro ai loro clienti. Il nostro essere presenti non toglie nulla alle vittime, semmai aggiunge forza alla loro voce. Qualsiasi avvocato che si oppone alla nostra ammissione, ha frainteso il nostro ruolo a difesa pubblica e delle vittime. Non si tratta di andare contro ad una categoria: esistono tantissimi avvocati bravi, ma, purtroppo, ce ne sono altri che pensano solo ai loro interessi piuttosto che a quelli delle persone che difendono. Il nostro sostegno non va confuso”.