Quello che, sicuramente, non sono riuscito a spiegare bene è che, nella descrizione di un reato, più si eliminano gli aspetti soggettivi e discrezionali, più è facile ottenere la condanna del reo.
In teoria – anzi, qualche volta anche in pratica – si riesce a far condannare severamente un ubriaco, introducendo l’aggravante del dolo eventuale (cioè l’omicidio non è colposo, ma volontario, in quanto il colpevole, pur consapevole di poter, nel suo stato fisico, uccidere, ha ignorato tale consapevolezza, sottoponendosi al rischio, concreto, di uccidere): il problema è che, a quel punto, si apre tutto un dibattito, tra avvocati, psicologi, esperti in infortunistica, eccetera, per determinare se effettivamente questo rischio c’era e se il colpevole ne fosse consapevole.
Se invece si dice, sic et simpliciter, che chi si pone alla guida ubriaco ed uccide, commette un omicidio stradale, senza stare troppo a discutere sulle intenzioni e sulla consapevolezza dell’imputato, le cose sono evidentemente più semplici… anche troppo semplici, secondo alcuni critici dell’omicidio stradale…