A PROPOSITO DELL’OMICIDIO STRADALE – 17 luglio 2014 – di Claudio Martino
Mi chiedo: ma è proprio necessario creare un nuovo reato, per aumentare le pene? Per elevarne i minimi, così da ottenere che almeno qualche giorno di carcere lo facciano, quanti uccidono guidando in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe o correndo superando di molto i limiti di velocità?
Non basta semplicemente applicare gli articoli del codice penale già vigenti, semplicemente prevedendo pene più severe, con minimi più alti?
Evidentemente sono proprio ignorante di scienze giuridiche se non riesco a darmi una risposta (e se non riesco a trovarne in nessuno degli articoli e commenti finora letti).
Innanzi tutto, vorrei riportare un frammento del resoconto sommario della seduta della commissione Giustizia del 18 giugno 2014 (http://goo.gl/XIqGE9), di rara chiarezza:
“Il presidente PALMA, alla luce del dibattito testé svolto, osserva che vi è diffusa contrarietà sull’ipotesi di introdurre il reato di omicidio stradale nel sistema codicistico.”
Tutto gioca sulla distinzione, fondamentale nell’ordinamento penale di tutto il mondo civile, tra “colpa” e “dolo” (cioè volontarietà).
INTENDIAMOCI:
tra uno che mi uccide perché vuole proprio uccidere “me”, ed uno, invece, che mi uccide, senza neanche immaginare che io esista, solo perché vuole divertirsi a correre come un pazzo, potrei anche preferire il primo, perché perlomeno mi considera importante,
MA RESTA IL fatto che, nel primo caso, c’è dolo, nel secondo no!
Ed è, invece, importante, nell’economia generale del diritto penale, tenere ben distinte le due situazioni psicologiche: se accettiamo eccezioni e confusioni nel campo dell’incidentalità stradale, non possiamo sapere quali applicazioni ed interpretazioni analogiche potrebbero essere “inventate” in futuro.
Allora, ad esempio, nel caso di un conducente ubriaco,
non è più logico (e forse più semplice) dire
che la colpa di cui si macchia (guidare ubriaco) è gravissima e, quindi, che, se causa incidenti mortali, merita pene pesantissime,
piuttosto che stare a dire che,
in effetti, egli commette un “omicidio stradale” (collocato in una via di mezzo tra colposo e volontario) in quanto non può non sapere che, nel suo stato, rischia concretamente di causare incidenti mortali
e che – accettando questo rischio – (quasi) vuole la morte di qualcuno?
Claudio Martino