Dall’ordinanza di applicazione di misura cautelare coercitiva (art. 292 c.p.p.), emessa dal giudice per le indagini preliminari Stefano MOLTRASIO, del tribunale di Alessandria, il giorno 17 agosto 2011, nei confronti di ILIR BETI (http://goo.gl/cIzJpZ) /

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Dall’ordinanza di applicazione di misura cautelare coercitiva (art. 292 c.p.p.), emessa dal giudice per le indagini preliminari Stefano MOLTRASIO, del tribunale di Alessandria, il giorno 17 agosto 2011, nei confronti di ILIR BETI (http://goo.gl/cIzJpZ) / trascrizione dal pdf originario eseguita da Claudio Martino ( AIFVS )

Pagine 3 e 4

L’unico profilo da approfondire riguarda l’elemento psicologico del dolo di cui al capo 1.

Il dolo eventuale è rappresentazione della concreta possibilità della realizzazione del fatto e accettazione del rischio (quindi, volizione) di esso.

La Suprema Corte ha più volte affermato che “la linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa con previsione è individuata nel diverso atteggiamento psicologico dell’agente che, nel primo caso, accetta il rischio che si realizzi un evento diverso non direttamente voluto, mentre nella seconda ipotesi, nonostante l’identità di prospettazione, respinge il rischio , confidando nella propria capacità di controllare l’azione” (Così Cass., Sez. IV, 10.10.1996, n. 11024).

Quindi, “il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell’evento. Questa, nel dolo eventuale, si propone non come incerta, ma come concretamente possibile e l’agente, nella volizione dell’azione, ne accetta il rischio, così che la volontà investe anche l’evento rappresentato.

Nella colpa cosciente la verificabilità dell’evento rimane un’ipotesi astratta, che nella coscienza dell’autore non viene concepita come concretamente realizzabile e, pertanto, non è in alcun modo voluta (riferimenti in https://goo.gl/awGkq9).

La concreta rappresentazione va desunta essenzialmente dal fatto, dal suo svolgimento reale, nonché dalle modalità esecutive di esso.

Nel caso di specie l’indagato percorreva la più importante strada di collegamento tra il Piemonte/Lombardia e la Liguria, il sabato mattina prima di ferragosto, dunque in un momento in cui il traffico lungo quella strada è massimo, contromano, ad alta velocità.

Il solo transito contromano è già circostanza di fatto da cui ragionevolmente desumere la concreta possibilità di cagionare un incidente.

Se a ciò si aggiungono i seguenti elementi:

  • che il tratto di strada percorso è autostradale, cioè appartiene alla categoria che consente all’utente della strada di viaggiare alla massima velocità raggiungibile secondo il C.d.S.
  • che il fatto è avvenuto durante il periodo dell’anno in cui il traffico è massimo, per giunta di notte
  • che la velocità alla quale viaggiava il SUV era certamente elevata, a tenore degli elementi sopra esposti
  • che il tratto percorso è stato davvero lungo, pari a circa 25 km, per un periodo di tempo considerevole, certamente prossimo ai 10 minuti
  • che nella sua folle corsa il SUV ha incontrato parecchi automobilisti, creando grave pericolo alla circolazione stradale, come dimostrano 13 chiamate di emergenza al 113 per segnalare i fatti, avvenute prima dell’incidente

ne consegue un quadro fattuale dal quale chiunque poteva trarre, con giudizio di quasi certezza o di elevatissima probabilità, che un sinistro stradale sarebbe stato provocato con conseguenze gravissime – letali per gli automobilisti coinvolti.

Questa valutazione è suffragata e corroborata da altri elementi ancora.

In primis la massa del SUV Audi, che è vettura davvero enorme (tanto da essere scambiata per un autocarro dal conducente della Peugeot urtata un attimo prima dell’auto dei francesi), si avvicina, a vuoto, alle due tonnellate e mezza (Kg 2.345, si legge nella scheda del sito internet ufficiale della casa produttrice), che, in rapporto alla velocità sostenuta alla quale verosimilmente procedeva, assegna al veicolo un’impressionante forza d’urto.

In secundis, posto che l’Audi procedeva contromano, non poteva non considerarsi che le vetture incontrate lungo l’autostrada procedessero almeno a 100 km/h, onde uno scontro frontale non avrebbe lasciato grandi speranze ai trasportati nel veicolo antagonista, a meno che non si trattasse di veicolo di massa pari o superiore al SUV Audi; ma si tratta di circostanza altamente improbabile, sia per la scarsissima diffusione di autovetture di massa paragonabile all’AUDI Q7, sia perché, trattandosi di prefestivo che precede ferragosto, gli autocarri abilitati a circolare sono davvero pochi.

Sulla prevedibilità dell’evento ha, infine, influito lo stato di ebbrezza dell’indagato. Costui era ubriaco, ma con un tasso alcolemico a cavallo tra le lettere B e C dell’articolo 186 cod. str., dunque in uno stato tale da diminuire certamente la prontezza di riflessi alla guida, ma da non provocare affatto uno stato di forte incoscienza.

In altri termini, le capacità intellettive e valutative del Beti non possono ritenersi grandemente compromesse, come accade invece in chi ha assunto così tanto alcol da essere prossimo al coma etilico o comunque da provocare uno stato confusionale.

Che così non sia stato è confermato dai primi accertamenti compiuti dalla P. G., pochi minuti dopo l’incidente, che non attestano affatto una situazione di incoscienza, di profonda confusione, di marasma psicologico in capo all’indagato.

La forza, l’univocità ed il numero degli elementi appena esposti sono tali da dimostrare, con ragionevole certezza, che il Beti abbia impegnato e, soprattutto, percorso il tratto autostradale rappresentandosi il rischio di un sinistro mortale.

Ma tale rappresentazione dell’evento non può non essersi rafforzata nei dieci minuti circa in cui il folle viaggio è durato. 

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