Luigi MANCONI / A quanti hanno criticato la mia posizione sul reato di omicidio stradale / 16 giugno 2015

Luigi MANCONI / A quanti hanno criticato la mia posizione sul reato di omicidio stradale / 16 giugno 2015
 
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Non sottovaluto neppure per un attimo il dolore di chi ha perso una persona cara in un incidente stradale. Ne comprendo i sentimenti al punto di voler capire quale sia la disciplina legislativa migliore per evitare o quantomeno ridurre il più possibile tragedie come quelle che avete subito. Non si possono impedire del tutto gli incidenti – scriveva giustamente una di voi – ma si possono (e, aggiungo, si devono) modificare i comportamenti (in particolare alla guida), con la “prevenzione, il controllo, pene certe e immediate” che fungano quindi da deterrente. Sono d’accordo su ciascuno di questi passaggi, ma mi chiedo: può rappresentare un deterrente davvero efficace l’introduzione di un reato autonomo di omicidio stradale (e nautico)? Il guidatore distratto, superficiale, tracotante e irresponsabile sarà più attento pensando che un eventuale incidente mortale da lui causato sarà qualificato con un diverso articolo del codice penale?
Perché già oggi l’omicidio colposo è punito fino a sette anni di carcere; dieci in caso di guida in stato di ebbrezza o stupefazione (che costituisce dunque un’aggravante, non un’attenuante come invece sembrava ritenere uno di voi che mi ha scritto); quindici in caso di omicidio plurimo. Le pene previste dalla nuova fattispecie non sono molto più alte: dodici per l’ipotesi-base, diciotto per omicidio plurimo (o accompagnato da lesioni), ulteriormente aumentabili qualora il conducente si dia alla fuga.
Ma allora, da cosa dovremmo aspettarci un miglioramento nella capacità deterrente della norma? Non credo, appunto, dalla mera “tassonomia” dei delitti e dalla scelta nominalistica e, dunque, dalla qualificazione dello stesso comportamento come reato autonomo; per ciò solo. Credo, piuttosto, che saranno molto efficaci misure quali la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza per questo reato e, soprattutto, sanzioni interdittive anche di lunga durata (quali la revoca della patente e il divieto di conseguirne una nuova, anche per un numero assai elevato di anni e, in alcuni casi, in via definitiva). Queste sanzioni, in particolare, determinano una vera e propria “incapacitazione” del condannato tale da impedirgli, per un determinato periodo, di commettere ulteriori reati con le stesse modalità con le quali ha commesso il primo ma, proprio in quanto agiscono “selettivamente” (su una particolare sfera di libertà e non sulla libertà personale in senso stretto), possono essere irrogate anche per periodi molto lunghi, garantendo maggiormente la sicurezza collettiva. 
E’ su queste misure, a mio avviso, che si sarebbe dovuto insistere sin dall’inizio, non solo per garantire al disegno di legge un iter più rapido e meno accidentato, ma anche per rimettere al centro del dibattito e dell’attenzione dei cittadini le soluzioni realmente idonee a prevenire queste tragedie, che certamente (e purtroppo) non si impediscono soltanto qualificando un reato come autonomo o circostanziato. Temo, anzi, che incentrare un’intera legge esclusivamente su questo punto rischi soltanto di spostare l’attenzione da quello che è il reale problema scegliendo soluzioni certamente più facili e scontate, ma probabilmente meno utili e lungimiranti.
Un’ultima questione, assai modesta, perché esclusivamente mia personale: perché sollevare dubbi e perplessità, col massimo rispetto nei confronti di chi la pensa diversamente, suscita risposte così aggressive quali quelle che molti aderenti alle associazioni dei familiari delle vittime hanno voluto indirizzarmi? Il disegno di legge approvato dal Senato è diverso da quello che io avrei voluto: e io ho espresso qualche critica. È un normale esercizio di democrazia. 
Con grande rispetto e, se permettete, con affetto, 
Luigi Manconi

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